Pagina:Il piacere.djvu/343

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Così ragionava Andrea Sperelli, d’innanzi al camino che aveva illuminata l’amante Elena ignuda, avvolta nel drappo dello Zodiaco, ridente tra le rose sparse. E l’occupava una stanchezza immensa, una stanchezza che non chiedeva il sonno, una stanchezza così vacua e sconsolata che quasi pareva un bisogno di morire; mentre il fuoco spegnevasi in su gli alari e la bevanda freddavasi nella tazza.

Ne’ giorni che seguirono, egli in vano aspettò il biglietto promesso. “Vi scriverò un biglietto per dirvi quando potrò vedervi.„ Elena dunque intendeva dargli un nuovo convegno. Ma dove? Ancora nella casa Zuccari? Avrebbe ella commessa la seconda imprudenza? L’incertezza gli dava torture indicibili. Egli passava tutte le sue ore a ricercare un qualunque mezzo per incontrarla, per vederla. Piú d’una volta andò all’Albergo del Quirinale, con la speranza d’esser ricevuto, ma non la trovò mai. La rivide una sera col marito, con Mumps, com’ella diceva, di nuovo al teatro. Parlando di cose leggere, della musica, dei cantanti, delle dame, egli mise nel suo sguardo una tristezza supplichevole. Ella si mostrò molto preoccupata del suo appartamento: ― rientrava nel palazzo Barberini, nel suo antico quartiere ma ampliato; ed era sempre con i tappezzieri a dare ordini, a disporre.

― Rimarrete a Roma lungo tempo? ― le chiese Andrea.

― Sì ― ella rispose. ― Roma sarà la nostra residenza invernale.

Poco dopo, soggiunse: