Pagina:Il piacere.djvu/362

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di tratto in tratto il vento scuotere i vetri delle finestre. Giungeva col vento un clamore lontano, misto al rombo delle vetture. Entrava una luce fredda e limpida come un’acqua sorgiva; negli angoli si raccoglieva l’ombra, e fra le tende composte di tessuti dell’Estremo Oriente; luccicavano qua e là su i mobili le incrostazioni di giada, di avorio, di madreperla; un gran Buddha dorato appariva in fondo, sotto una musa paradisiaca. Quelle forme esotiche davano alla stanza un po’ del loro mistero.

― Ora, che pensate? ― chiese Andrea. ― Non pensate alla mia fine?

Ella pareva assorta in un pensier dubitoso. Era, in vista, irresoluta come se ascoltasse due voci interiori.

― Io non so dirvi ― ella rispose, passandosi la mano su la fronte con un gesto lieve ― non so dirvi che strano presentimento mi opprima, da lungo tempo. Non so; ma io temo.

Ella soggiunse, dopo una pausa:

― Pensare che voi soffrite, che voi siete malato, povero amico, e che io non potrò alleviarvi la pena, che io vi mancherò nella vostra ora d’angoscia, che io non saprò se voi mi chiamerete... Mio Dio!

Ella aveva nella voce un tremito e una fievolezza quasi di pianto, come se le si fosse chiusa la gola. Andrea teneva il capo chino, tacendo.

― Pensare che la mia anima sempre vi seguirà, sempre, e che non potrà mai mai confondersi con la vostra, non potrà mai da voi essere compresa... Povero amore!