Pagina:Il piacere.djvu/409

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Ella si volse, per discendere. Andrea la seguì. Camminarono in silenzio verso la scala; guardarono il bosco che si stendeva fra la terrazza e il Belvedere. Pareva che il chiarore si fermasse sul limite, dove sorgono le due erme custodi, e non potesse rompere la tenebra; pareva che quegli alberi rameggiassero in un’altra atmosfera o in un’acqua cupa, in un fondo marino, simili a vegetazioni oceaniche.

Ella fu invasa da una súbita paura; si affrettò verso la scala, discese cinque o sei gradini; si arrestò, smarrita, palpitante, udendo nel silenzio il battito delle sue arterie dilatarsi come uno strepito enorme. La villa era scomparsa; la scala era serrata fra due pareti, umida, grigia, rotta dall’erbe, triste come quella d’una carcere sotterranea. Ella vide Andrea piegarsi verso di lei, con un atto improvviso, per baciarla in bocca.

― No, no, Andrea... No!

Egli tendeva le mani per trattenerla, per costringerla.

― No!

Perdutamente, ella gli prese una mano, se la trasse alle labbra; la baciò due, tre volte, perdutamente. Poi si mise a correre giù per la scala, verso la porta, come folle.

― Maria! Maria! fermatevi!

Si ritrovarono l’una di fronte all’altro, innanzi alla porta chiusa, pallidi, ansanti, scossi da un terribile tremito, guardandosi negli occhi mutati, avendo negli orecchi il rombo del loro sangue, credendo di soffocare. E nel tempo medesimo, con un impeto concorde, si strinsero, si baciarono.