Pagina:Il piacere.djvu/42

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Se bene la violenza fosse lievissima, ella corrugò i sopraccigli, ed esitò prima di rispondere.

― Son venuta ― ella rispose, con una certa lentezza misurata, guardando l’amante nelli occhi, ― son venuta perchè tu m’hai chiamata. Per l’amore d’una volta, per il modo con cui quell’amore fu rotto, per il lungo silenzio oscuro della lontananza, io non avrei potuto senza durezza ricusare l’invito. E poi, io voleva dirti quel che t’ho detto: ch’io non sono più tua, che non potrò essere tua più mai. Voleva dirti questo, lealmente, per evitare a me e a te qualunque inganno doloroso, qualunque pericolo, qualunque amarezza, nell’avvenire. Hai inteso?

Andrea chinò il capo, quasi su le ginocchia di lei, in silenzio. Ella gli toccò i capelli, col gesto un tempo familiare.

― E poi ― seguitò, con una voce che mise a lui un brivido in tutte le fibre ― e poi... voleva dirti ch’io ti amo, ch’io ti amo non meno d’una volta, che ancora tu sei l’anima dell’anima mia, e che io voglio essere la tua sorella più cara, la tua amica più dolce. Hai inteso?

Andrea non si mosse. Ella, prendendo le tempie di lui fra le sue mani, gli sollevò la fronte; lo costrinse a guardarla negli occhi.

― Hai inteso? ― ripetè, con una voce anche più tenera e più sommessa.

I suoi occhi, all’ombra de’ lunghi cigli, parevano come suffusi d’un qualche olio purissimo e sottilissimo. La sua bocca, un poco aperta, aveva nel labbro superiore un piccolo tremito.

― No; tu non mi amavi, tu non mi ami! ― ruppe infine Andrea, togliendosi dalle tempie