Pagina:Il piacere.djvu/431

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― Perchè?

― Dammi tu... da bere.

― Ma come?

― Così. Prendi un sorso e non inghiottire.

― Scotta troppo ancora.

Ella rideva, a quel capriccio dell’amante. Egli era un po’ convulso, pallidissimo, con lo sguardo alterato. Aspettarono che il tè si freddasse. Ad ogni momento, Maria accostava le labbra all’orlo della tazza per provare; poi rideva, d’un piccolo riso fresco che non pareva suo.

― Ora, si può bere ― annunziò.

― Ora, prendi un bel sorso. Così.

Ella teneva le labbra serrate, per contenere il sorso; ma le ridevano i grandi occhi a cui le lacrime recenti avevan dato maggior fulgore.

― Ora, versa, a poco a poco.

Egli trasse nel bacio, suggendo, tutto il sorso. Come sentiva mancarsi il respiro, ella sollecitava il lento bevitore stringendogli le tempie.

― Dio mio! Tu mi volevi soffocare.

S’abbandonò sul cuscino, quasi per riposarsi, languida, felice.

― Che sapore aveva? Tu m’hai bevuta anche l’anima. Sono tutta vuota.

Egli era rimasto pensoso, con lo sguardo fisso.

― A che pensi? ― gli chiese Maria, di nuovo, sollevandosi a un tratto, posandogli un dito nel mezzo della fronte, quasi per fermare il pensiero invisibile.

― A nulla ― rispose. ― Non pensavo. Seguivo dentro di me gli effetti del filtro...

Allora ella anche volle provare. Bevve da lui