Pagina:Il piacere.djvu/441

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arrestare, senza avere un attimo di sosta nella caduta vertiginosa. Egli era divorato come da una febbre inestinguibile che facesse schiudere col suo calore negli oscuri abissi dell’essere tutti i germi delle abiezioni umane. Ogni pensiero, ogni sentimento portava la macchia. Egli era tutto una piaga.

E pure, l’inganno medesimo lo legava forte alla donna ingannata. Il suo spirito erasi così stranamente adattato alla mostruosa comedia, che quasi non concepiva più altro modo di piacere, altro modo di dolore. Quella incarnazione di una donna in un’altra non era più un atto di passione esasperata ma era un’abitudine di vizio e quindi un bisogno imperioso, una necessità. E l’istrumento inconsapevole di quel vizio era divenuto quindi per lui necessario come il vizio medesimo. Per un fenomeno di depravazion sensuale, egli era quasi giunto a credere che il real possesso di Elena non gli avrebbe dato il godimento acuto e raro datogli da quel possesso imaginario. Egli era quasi giunto a non poter più separare, nell’idea di voluttà, le due donne. E come pensava diminuita la voluttà nel possesso reale dell’una, così anche sentiva tutti i suoi nervi ottusi quando, per una stanchezza dell’imaginazione, egli trovavasi innanzi alla forma reale immediata dell’altra.

Perciò egli non resse al pensiero che Maria dalla ruina di Don Manuel Ferres gli fosse tolta.

Quando verso sera Maria venne, egli sùbito s’accorse che la povera creatura ignorava ancóra la sua disgrazia. Ma, il giorno dopo, ella venne ansante, sconvolta, pallida come una