Pagina:Iliade (Monti).djvu/227

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216 iliade v.217

Alto silenzio, acciò che salga a Giove
La nostra prece, e la pietà ne svegli.
   Disse; e a tutti fu caro il suo consiglio.
Dier le linfe alle mani i banditori;220
Lesti i donzelli coronâr di liete
Spume le tazze, e le portaro in giro:
E libato e gustato a pien talento
Il devoto licore, uscîr veloci
Dalla tenda regal gli ambasciadori;225
E molti avvisi porgea lor per via
Il buon veglio, girando a ciascheduno,
Principalmente di Laerte al figlio,
Le parlanti pupille, e a tentar tutte
Le vie gli esorta d’ammansar quel fiero.230
Del risonante mar lungo la riva
Avviârsi i legati, supplicando
Dall’imo cor l’Enosigéo Nettunno
Perchè d’Achille la grand’alma ei pieghi.
   Alle tende venuti ed alle navi235
De’ Mirmidóni, ritrovâr l’eroe
Che ricreava colla cetra il core,
Cetra arguta e gentil, che la traversa
Avea d’argento, e spoglia era del sacco
Della città d’Eezïon distrutta.240
Su questa degli eroi le glorïose
Geste cantando raddolcía le cure:
Solo a rincontro gli sedea Patróclo
Aspettando la fin del bellicoso
Canto in silenzio riverente. Ed ecco245
Dall’Itaco precessi all’improvviso
Avanzarsi i legati, e al suo cospetto
Rispettosi sostar. Alzasi Achille
Del vederli stupito, ed abbandona
Colla cetra lo seggio; alzasi ei pure250