Pagina:Iliade (Monti).djvu/230

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v.319 libro nono 219

E tutti tra le vampe istupiditi
Ancidere gli Achivi. Or io di forte320
Timor la mente contristar mi sento,
Che le costui minacce avversi numi
Non mandino ad effetto, e che non sia
Delle Parche decreto il dover noi
Lungi d’Argo perir su queste rive.325
Ma tu deh! sorgi, e benchè tardi, accorri
A preservar dall’inimico assalto
I desolati Achei. Se gli abbandoni,
Alto cordoglio un dì n’avrai, nè al danno
Troverai più riparo. A tempo adunque330
L’antivieni prudente, ed allontana
Dall’argolica gente il giorno estremo.
Ricórdati, mio caro, i saggi avvisi
Del tuo padre Peléo, quando di Ftia
Invïotti all’Atride. Amato figlio,335
(Il buon vecchio dicea) Minerva e Giuno,
Se fia lor grado, ti daran fortezza;
Ma tu nel petto il cor superbo affrena,
Chè cor più bello è il mansueto; e tienti
(Onde più sempre e giovani e canuti340
T’onorino gli Achei), tienti remoto
Dalla feconda d’ogni mal Contesa.
Questi del veglio i bei ricordi fûro:
Tu gli obblïasti. Ten sovvenga adesso,
E la trista una volta ira deponi.345
Ti sarà, se lo fai, largo di cari
Doni l’Atride. Nella tenda ei dianzi
L’impromessa ne fece: odili tutti.
Sette tripodi intatti, e dieci d’oro
Talenti, e venti splendidi lebeti;350
Dodici velocissimi destrieri
Usi nel corso a riportarne i primi