Pagina:Iliade (Monti).djvu/237

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226 iliade v.557

La tua partenza, se nell’ira immoto
Di niuna guisa allontanar non vuoi
Gli ostili incendii dalla classe achea,
Come, ahi come poss’io, diletto figlio,560
Qui restar senza te? Teco mandommi
Il tuo canuto genitor Peléo
Quel giorno che all’Atride Agamennóne
Invïotti da Ftia, fanciullo ancora
Dell’arte ignaro dell’acerba guerra,565
E dell’arte del dir che fama acquista.
Quindi ei teco spedimmi, onde di questi
Studi erudirti, e farmi a te nell’opre
Della lingua maestro e della mano.
A niun conto vorrei dunque, mio caro,570
Dispiccarmi da te, no, s’anco un Dio,
Rasa la mia vecchiezza, mi prometta
Rinverdir le mie membra, e ritornarmi
Giovinetto qual era allor che il suolo
D’Ellade abbandonai, l’ira fuggendo575
E un atroce imprecar del padre mio
Amintore d’Orméno. Era di questa
Ira cagione un’avvenente druda
Ch’egli, sprezzata la consorte, amava
Follemente. Abbracciò le mie ginocchia580
La tradita mia madre, e supplicommi
Di mischiarmi in amor colla rivale,
E porle in odio il vecchio amante. Il feci.
Reso accorto di questo il genitore,
Mi maledisse, ed invocò sul mio585
Capo l’orrendi Eumenidi, pregando
Che mai concesso non mi fosse il porre
Sul suo ginocchio un figlio mio. L’udiro
Il sotterraneo Giove e la spietata
Proserpina, e il feral voto fu pieno.590