Pagina:L'Utopia e La città del Sole.djvu/18

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chese, sì gloriosamente benevolo e soccorrevole al martire insigne.

Seppe poi il Moro che i suoi beni non solo erano andati in sequestro, ma incorporati al regio erario, onde la sua famiglia con molto incomodo penuriava, ma ebbe anche notizia, che sopra di quella caderono benigni effetti della provvidenza divina, mentre che veniva provveduta dalla liberalità di un caro amico fedele di molti anni e nostro italiano. Fu questo Antonio Bonvisi, nobile di Lucca, che come dovizioso e di grande ingegno, possedeva rilevante ragione di negozj in Inghilterra, e particolarmente in Londra, e per le conformità de’ costumi, e dei studj eleganti, mantenne in ogni fortuna scambievole amicizia col Moro, quindi con profusa cortesia dava mano a soccorrere la di lui famiglia ed a forza di donativi, faceva penetrar nelle carceri preziosi rinfreschi al caro amico. A così buon cavaliere s’ingegnò al meglio che gli fu concesso render grazie con lettere, e poco avanti della sua morte di questo tenore gli scrisse.


Sopra ogni altro meritamente amico mio carissimo.


Già che l’animo mi predice (benchè possa abbagliarsi, chi è solito d’indovinare) che poco più mi sarà permesso di potervi salutare, scrivendo; ho risoluto per lauto, essendovi l’occasione di farlo con questa mia.

Quanto conforto io riceva in questa totale rivolta e desolazione delle mie cose, dalla lieta considerazione della vostra costante amicizia, mentre che essendo in mio riguardo, tolta ogni via di poter rendere la pariglia: voi ad ogni modo, al conculcato in un cantone, al carcerato ed afflitto vostro Moro continuate a portare ogni più sviscerato affetto, e favore: Io, signor Antonio, sopra ogni altro mortale a me carissimo, mentre che altro non posso, umilmente supplico Dio ottimo massimo, che così cortese vi dispose al mio aiuto, e ad obbligare a tal segno un debitore, che non sarà giammai abile a soddisfarvi, per codesta vostra profusissima munificenza, a concedervi ogni più durevole felicità; ed a riceverci, dopo di questo miserabile, e procelloso secolo, nel suo beato riposo: dove non vi sarà più uopo di scriver lettere, nè saremo rattenuti dalle mura, nè fiano più i nostri dolci discorsi impediti dal carceriero: ma col divino Padre increato, e coll’unigenito di lui signor nostro Gesù Cristo, e con lo Spirito Santo, che d’ambidue procede, pienamente goderemo le sempiterne allegrezze del paradiso, per il cui desiderio disponga l’onnipotente Dio, che a voi, a me, e a tutti gli uomini ogni dovizia di questo mondo ed ogni più vana pompa, anzi questa vita fugace sia in totale disprezzo. O degli amici il più fedele, e come per mio pregio dir soglio, dolce pupilla degli occhi miei, vivete con lieta salute; e la famiglia vostra che