Pagina:La scaccheide.djvu/44

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* xxxviii. *

Ahi questo era del Re, questo del nero
770Popol l’estremo irreparabil danno,
Nè più restava a l’Arcade Garzone
Che d’avverso destin lagnarsi indarno:
Poi che così scoperto al ferro ostile
Era il fianco del Re, nè più potea
775Opporsi alcuno a la comun ruina.
Il Nipote d’Atlante accorto e scaltro,
Che ciò prevede, in cor si crucia e teme,
E l’Avversario affretta, e con sue vane
Ciance l’aggira, ond’ei non vegga il colpo.
780Poi come tardo lo motteggia, e in questa
Guisa il rampogna: Adunque a te cotanto
Lento esser giova, e niun rossor ti prende?
Che viltà, che tardanza? et osi spesso
Me di pigro accusar tu, che sì pronto
785Ora ti mostri? o da la notte or forse
Soccorso aspetti, che de l’ombre il fosco
Velo distenda, e a la tenzon dia fine?
Mosso a tai detti mentre un nero Fante
L’incauto Apollo uccide, il punto amico
790Di fortuna non colse. allora al Cielo
Erge la voce baldanzoso e lieto
Mercurio, et al periglio il Re togliendo,
Il Cavalier de la Regina a l’armi,