Pagina:La sciarada, appendice alle antiche poetiche.djvu/9

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Minacciar sovra Giuda il brando Assiro,
Or, sfavillanti di celeste gioja,
Prometter Lui, che di sua diva fronte
La monda umanitade entro ci terse,
30Grazia trovâr questi ingegnosi ludi.
Da chi si ciba il cibo, e la dolcezza
Dal forte è uscita, ed a cui ciò mi spieghi
trenta tuniche io dono e trenta manti,
Diceva, posti i nuziali deschi,
35Della sua giovinezza ai cari amici,
Marito allegro, il Nazareo Sansone:
E quando i cari amici, a cui di furto
Preciso avea quell’impossibil nodo
La levità della cianciera sposa,
40Sclamâr: dal forte la dolcezza è uscita,
E da lui che si ciba uscito il cibo,
Altro non è che discoperto favo
Nelle gran fauci di leone estinto;
Se non aveste, il Nazareo Sansone
45Ripigliò quasi per enigma nuovo,
Colla giovenca mia la zolla infranta,
Anco starebbe il mio tesor nel fondo.
Similemente il declinar dell’uomo,
Le accasciate sue membra, i sensi tardi,
50Quando trascorsa è la virile etade,
E pria che colla destra inesorata
L’alta Necessità la tomba schiuda,
Di Palestina il coronato Senno
D’enigmatica nebbia offuscò e disse:
55Tremolan della casa le massaie,
I robusti vacillano, ridotti
Vedi a picciolo numero e oziosi
Quei che soleano rigirar la mola,
Il mandorlo di fiori è tutto bianco,
60Per le finestre più non entra lume,
Invase attonitaggine profonda
Dei cantici le figlie, sulla fonte