Pagina:Le Vicinie di Bergamo.djvu/85

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ai posteri un esempio tanto più onorevole, quanto meno conosciuto nella modesta cerchia in cui veniasi compiendo.

Fino ad ora ho considerato le Vicinie nelle loro forme più originarie di esplicamento. Non voglio dire con ciò, e raffermarlo sarebbe certamente contrario alla natura delle cose, che fin qui e non oltre dovesse giungere in principio la loro azione, perchè il concetto, che costituisce l’intima essenza della vicinità, poteva estendersi anche alla mutua difesa ed in generale al dovere di promuovere tutti quei provvedimenti, che fossero per riuscire giovevoli al benessere di quanti si trovavano in quel rapporto; intendo piuttosto, che appunto di tutti questi obblighi, od almeno del maggior numero, vediamo essersene impossessato il Comune in un’epoca posteriore, ed averli così svolti e regolati, da modificarli profondamente e in conseguenza da attribuir loro un aspetto al tutto diverso da quello che in origine doveano avere. Quei di Valtesse, posti ad una certa distanza dalla città, si saranno, per così esprimermi, sentiti certo più vicini tra loro, che non con quanti abitavano il vastissimo Vicinato cittadino, di cui facevano parte, e questo tanto più quando anch’essi poterono avere fin dal secolo undicesimo nella loro chiesuola di S. Colombano1 un centro di unione più opportuno, di quello non fosse la chiesa suburbana di S. Lorenzo; e così dovette a una cert’epoca intendere la cosa anche il Comune, se tentò, loro malgrado, sottoporli come rustici al fodro dei terreni, quasi formassero

  1. Corogr. Berg. p. 460.