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194 le confessioni d’un ottuagenario.

Pur troppo la posizione era critica. Da un lato la vicina e provata oltracotanza d’un feudatario, avvezzo a farsi beffe d’ogni legge divina ed umana; dall’altro l’imperiosa inesorabile arcana giustizia dell’Inquisizione veneziana. Qui i pericoli d'una vendetta subitanea e feroce, là lo spauracchio d’un castigo segreto, terribile, immanchevole: a destra una visione paurosa di buli armati fino ai denti, di tromboni appostati dietro le siepi; a sinistra un apparimento sinistro di messer Grande, di pozzi profondi, di piombi infuocati, di corde, di tanaglie e di mannaje. I due illustri magistrati ebbero le vertigini per quarantott’ore; ma alla fin fine, com’era prevedibile, si decisero a dar l’offa al cane più grosso, giacchè l’accontentarli tutti e due o il rappattumarli non era neppur cosa da tentarsi. Non posso neppur nascondere che gli incoraggiamenti del Partistagno ed i savii consigli di Lucilio Vianello cooperarono assai a far traboccar la bilancia da questo lato: e al postutto il signor conte si sentì un tantin più sicuro nel vedersi spalleggiato da gente così valorosa ed assennata. Ciò non tolse per altro che il processo di Germano non si tenesse avvolto nelle più imperscrutabili ombre del mistero; come anche queste ombre non furono tanto imperscrutabili, da impedire agli occhi più pettegoli di volervi veder entro per forza. Infatti si bucinò tantosto che il vecchio bulo del Venchieredo spaventato dal decreto degli inquisitori, avea deposto contro il suo antico padrone certe carte di vecchia data, che non provavano una specchiata fedeltà al governo della Serenissima; e se sopra queste ipotesi (non erano più chè ipotesi, intendiamoci bene, perchè dopo aperto il processo, il Conte, il Cancelliere e mastro Germano, che soli vi avevano parte, erano diventati come sordomuti) se sopra queste ipotesi, dico, se ne fabbricarono dei castelli in aria, lo lascio a voi immaginare. Come si può credere, uno dei primi ad aver sentore di ciò fu il castellano di Venchieredo;