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114 Le poesie di Catullo

     35Ch’al vergognoso starmene a Verona,
     Mentre costì nel mio deserto letto
     Scalda le membra ogni gentil garzone,
     Credi, Manlio, non già d’onta, ma degno
     Di pietade son io. Se dunque i doni,
     40Che la sventura mi rapì, non t’offro,
     Perdonami, non posso. In compagnia
     D’assai copia di libri io qui non vivo;
     Io faccio vita in Roma: ivi il mio tetto,
     Ivi le sede, ivi si svolge il filo
     45Degli anni miei; di tanti scrigni un solo
     Mi segue; eccoti il vero: e tu non darmi
     Taccia d’alma scortese e di bugiardo,
     Se al tuo doppio desio non sodisfaccio;
     Più ti darei, se facoltà ne avessi.
     50Tacer non posso, o Dee, quanto e in che modo
     M’abbia Manlio giovato, onde non sia
     Che in cieca notte alle obliose genti
     Covra il tempo fugace un tanto affetto.
     A voi, Muse, il dirò; voi lo ridite
     55Ai cento, ai mille, e fate sì che questa
     Pagina a’ più lontani anni il ripeta.
     . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Dell’ estinto ognor più cresca la fama,
     Nè mai di Manlio al derelitto nome
     60La tenue tela ordisca intorno Aragne.
     Voi ben sapete, o Dee, quanto travaglio
     La duplice Amatusia al cor m’inflisse,