Erano le mie porte ognor frequenti, 90Fervea sempre d’amici il limitare;
Quando, già sorto il Sol, dalle tepenti
Piume tranquillo io mi solea levare,
Incoronata di corolle olenti
La mia casa ridea come un altare. 95Ed io ministra di Cibele adesso?
Io baccante, io smembrata, io senza sesso?
E abiterò il nevoso Ida? E qui tratto
Sarà tra’ boschi il mio giorno mortale,
Sotto a queste colonne alte, ove il ratto 100Cervo balza ed imboscasi il cignale?
Ahi, già di quel che osai, di quel che ho fatto
Già dolore e rimorso il cor m’assale!”
Queste dai rosei labbri uscían querele:
Ma le udiron gli Dei, le udì Cibele.
105Staccò dal giogo un dei leoni, e il fiero
Di greggi insidiator col cenno aizza:
“Va’, gli dice, e col tuo impeto, o altero,
Colui di nuovo alle foreste indrizza:
Sottrarsi ei tenta al mio tremendo impero. 110Or su, flagella i fianchi, esci alla lizza,
La giubba squassa in su le muscolose
Spalle, ed al tuo ruggir tremin le cose.”