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Capitolo XII.


Il campo americano.


L’inglese era in uno stato tale da commuovere perfino tutte le rocce della rapida della riviera del Lupo, se avessero avuto un’anima.

Non aveva indosso che la camicia ed un paio di calzoncini di lana, tutti incrostati di ghiaccio, e molti ghiaccioli gli pendevano dalla barba, dalle sopracciglia e dai radi capelli.

— Tuoni di Dio! — esclamò il bandito, piantandosi le mani nei fianchi per soffocare una grande risata. — Da dove venite, milord? Dall’altro mondo?

― Dalla rapida! — rispose l’inglese, battendo i denti e facendo oscillare le ginocchia.

— Dalla rapida? Come? Voi?

Boxe, mister brigante. Io avere freddo. Datemi quattro colpi. Sangue circolare meglio dopo.

— Siete sempre pazzo, milord?

— Io volere lezione. Voi non avermela data ieri.

— Corpo d’un bue! Volete dei pugni?

— Sì, pugni, pugni. Io avere freddo. Io volere mia lezione. Io pagarvi sempre. —

Il bandito si era alzato inarcando le poderose braccia. Era tanto abituato alle stravaganze di milord, che ormai non vi faceva più caso.

L’inglese era già saltato in piedi mettendosi in guardia.

— Se non seminasse dietro e dinanzi a me sempre sterline, lo ucciderei — brontolò il bandito. — È una gallina che fa delle uova d’oro e mi conviene serbarla. —

Poi alzando la voce, gridò:

— In guardia, milord! Io vi scalderò coi colpi maestri di Kalkraft, il mio famoso maestro.

— Picchiare, brigante. —