Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
230 | EMILIO SALGARI |
— Sono vecchio ma non sono sordo — rispose Nube Rossa.
— Noi ci siamo veduti altre volte.
— Tu avere buoni occhi.
— E mio fratello pelle-bianca che cosa viene a cercare nell’accampamento delle ultime Selve Ardenti?
— Io voler vedere tua figlia.
— Per quale motivo?
— Io volere sposare la terribile sakem.
— Mia figlia? — esclamò Nube Rossa, scendendo dal suo mustano. — Sei un uomo rosso tu?
— Io essere un lord.
— Vale a dire?
— Un gran sakem fra gli uomini bianchi.
— Mia figlia non sposerà che un uomo della sua razza, se si sposerà.
— Tua moglie aveva sposato un uomo bianco. —
Il viso raggrinzito dell’indiano si contrasse a quel ricordo come un giaguaro in furore, poi con voce terribile rispose:
— Tu non hai il diritto di guardare nel mio passato, peste bianca! Ah, vuoi vedere mia figlia? Eccola? —
Minehaha era uscita dalla tenda, sempre avvolta nel suo mantellone bianco, come usava sua madre, e si era avanzata verso l’inglese con un sorriso niente affatto promettente.
— Il lord inglese — disse con un certo disprezzo — che cosa vuole da me?
— Offrire la mia mano — rispose lord Wylmore senza punto esitare.
— La mano? Che cosa vuoi dire? — chiese Minehaha, un po’ stupita.
— Che voi potete diventare mia moglie.
— Io?
— Io essere molto ricco, io essere nel mio paese grandissimo sakem, io possedere tre castelli nella Scozia.
— E poi?
— E due milioni di dollari. —
La sakem scoppiò in una risata strepitosa.
— È per questo che siete venuto a cercarmi?
— Yes.
— Il grande Manitou non vi ha dipinto il viso come i nostri grandi guerrieri.
— Io essere nato male cotto — rispose l’inglese. — Avere colpa il fornaio.