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LE SELVE ARDENTI 233

— Che cosa vuoi dire, Minehaha? — chiese Nube Rossa con stupore.

— Fa’ denudare quell’uomo, fallo legare ad un albero qualunque della foresta e abbandonalo al suo destino. Sono stanca di scotennare.

— Varrebbe meglio ucciderlo subito.

— Di ciò s’incaricheranno i lupi. Se dobbiamo riprendere il viaggio, sbrìgati.

Nube Rossa fece un segno ai suoi uomini.

Sei guerrieri, quasi tutti di forme atletiche, si precipitarono sul disgraziato inglese, il quale, preso di colpo, non ebbe nemmeno il tempo di mettere in esecuzione le lunghe lezioni di Sandy-Hook.

— Voi che cosa fare di me, banditi? — urlò.

— La sakem ha parlato e basta — disse Nube Rossa.

— Briganti! Io essere qui venuto liberamente come amico di uomini rossi. —

Minehaha gli aveva vòlte le spalle, ed era rientrata nella sua tenda.

L’inglese, esasperato, tentò di ribellarsi, ma i sei atleti lo afferrarono saldamente e lo trassero verso la foresta, sordi alle sue proteste.

In un baleno gli strapparono le vesti, lo appoggiarono nudo, contro il tronco d’un pino e ve lo legarono saldamente con due lazos.

Nube Rossa aveva assistito alla scena, sogghignando beffardamente.

Ad ogni insulto del disgraziato lord rispondeva con un’alzata di spalle.

Gl’indiani, quasi avessero paura di appestarsi, gettarono da una parte le vesti e se ne andarono, seguìti lentamente dal vecchio sakem dei Corvi.

— Briganti! — urlò un’ultima volta l’inglese cercando invano di rompere i legami.

Nessuno gli rispose. Vide gl’indiani smontare l’unica tenda che avevano potuto salvare durante l’attacco della cavalleria americana; vide Minehaha salire in groppa della sua bianca mustana senza degnarlo d’uno sguardo; e finalmente vide partire tutti gli altri in un gruppo serrato.

Era solo, abbandonato nella foresta, nell’impossibilità di difendersi dai lupi e soprattutto dai morsi feroci del vento del settentrione.

— Io essere uomo morto! — disse. — Io non potere ora pagare lupi.

America mi sarà fatale. Oh, lo spleen di lord Byron! Poter fare a meno d’inventarlo, poichè io mangiare come ogni altro uomo.

Satana dannato!... Che freddo!... Io non essere un esquimese! —

Un vento freddissimo infatti soffiava dal settentrione sollevando un pulviscolo di neve, il quale si depositava sulle carni nude del povero inglese.

Resisteva ferocemente l’isolano, quantunque avesse i piedi affondati