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Capitolo VIII.


L’assedio.


L’indian-agent ed il signor Devandel avevano ritirata sollecitamente la lunghissima corda, chiedendosi reciprocamente ansiosi chi poteva essere stato a far fuoco per ben due volte sul bandito, fortunatamente senza colpirlo.

— Non cercate tanto, signore, — disse il vecchio scorridore di prateria dopo aver arrotolata la corda e averla gettata in un angolo. È stato qualche guerriero di Minehaha o di Nube Rossa vigilante sulle rive del fiume.

— L’avrò preso?

— No, no, di questo son certo. È scappato di sotto l’acqua più vivo di prima. Che corpo d’acciaio ha quell’uomo! Nessun altro avrebbe tentato, con un freddo così intenso, una simile prova.

— Riuscirà a toccare la riva?

— Quell’accidente lì? Scommetterei che sarebbe capace, con la sua pelle di bisonte grondante d’acqua, di scendere fino alle montagne dei Laramie, se non a quelle della grande catena dei Monti Pietrosi. I birbanti di quella fatta sono più corazzati dei coccodrilli.

— Sicchè tu speri di vederlo?

— Quanto prima, signor Devandel, — rispose l’indian-agent, il quale continuava a snodare non senza fatica lo corde che lo acque avevano ristrettite assai.

— E gl’indiani?

— Ecco il gran pericolo! Se si sono accorti che noi siamo qui, non mancheranno di farci una visita. Prima distruggeranno le bestie feroci, ma dopo saranno più spietate quelle pelli-rosse dei coguari, dei giaguari o degli orsi. Dei lupi non mi occupo nemmeno.

Alcuni spari rimbombarono in quel momento. Nella grande sala i rifles facevano udire la loro voce.