Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/153

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di cristoforo colombo 129

mandò a terra. Chi crederà quello che io scrivo? Dico che delle cento parte non ho la una scritta in questa presente lettera; della qual cosa quelli che furono in mia compagnia lo testificaranno. Se a Vostre Maestà piace di farmi grazia di soccorso un naviglio che passi di lxiiii tonelle, che sono botte con 200 quintali di biscotto, e alcuna altra provisione, basterà per portarmi me e questa povera gente a Spagna. Dalla Spagnola in Ianaica già dissi che non vi sono che 28 leghe. Io non saria però andato alla Spagnola, benchè li navigli fusseno stati boni, perchè già dissi come mi fu comandato da Vostre Maestà che non andassi in terra: se questo comandamento abbia giovato, Dio il sa. Questa lettera mando per via e mano dei Indii: grande maraviglia sarà, se la aggionge.

Del mio viaggio dico che con me e in mia compagnia veniva cento e cinquanta uomini, fra quali vi erano persone assai sufficienti per piloti e grandi marinari: non però alcuno può dare ragione certa per dove fummo, nè per donde ritornammo. La ragione è presta. Io mi partii disopra il porto del Brasil nominato nella Spagnola: non mi lassò la fortuna andare al cammino che io voleva, anzi mi fu forza correre dove il vento volse. In questo dì cascai io molto infermo. Nessuno avea navicato verso quella parte. Cessò il vento e il mare di lì a certi giorni, e mutossi la fortuna in calma e grande corrente. Fui a battere in una isola, quale si dice De las Pozzas, e di lì a terra ferma. Nissuno può dare conto vero di questo, perchè non vi è ragione che basti, perchè sempre andammo con correnti, senza mai vedere terra, tanto numero di giorni. Seguitai la costa della terra ferma: questa si assentò e misurò con compasso e arte: nissuno vi è che dica di basso qual parte del cielo sia.