Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/163

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di cristoforo colombo 139


avere Vostre Maestà di esse grandissime intrate. Alla improvisa aspettando io la nave per me domandata a Vostre Maestà per venire al suo alto conspetto, con vittorie e grande nuove di oro e di diverse ricchezze, molto allegro e sicuro tenendomi essere; fui preso e messo in un naviglio con due fratelli, caricato di ferri, nudo in corpo, con molto male trattamento, senza essere chiamato, nè ancora vinto per giustizia. Chi vorrà credere che un povero forestiero si avesse voluto alzarsi in tal luogo contro Vostre Maestà, senza causa, e senza braccio alcuno di altro Principe? Massimamente essendo io solo in mezzo tutti questi, che con mi erano, suoi vassalli e naturali di regni di Vostre Maestà: e ancora avuto rispetto che io teneva tutti li figliuoli miei in sua real corte. Io venni a servire Vostre Maestà di tempo di anni 28, e adesso non ho capello che non sia canuto, il corpo debile e infermo e tutto dannato. Quanto io aveva portato con me, da costoro mi fu tolto ogni cosa a me e miei fratelli, fino il saio; senza essere nè udito nè visto, con grande mio disonore. È da credere che questo non si facesse per suo reale mandamento: e se così è, come dico, la restituzione del mio onore e de’ miei danni, e castigamento a chi lo ha fatto, faranno Vostre Maestà sonare per tutto il mondo; e altrettanto di coloro che mi hanno rubato le ricchezze, e mi hanno fatto danno nel mio Almirantado. Grandissima fama e virtù con esempio sarà a Vostre Maestà, se questo fanno, e resterà in Spagna e in ogni altro luogo gloriosa memoria di loro, come aggradevo e giusti Principi. La intenzione bona e sana, quale sempre ebbi al servire di Vostre Maestà, e il disonore e remerito tanto diseguale, non dà luogo all’anima che taccia, benchè io voglia: della qual cosa domando a Vostre Maestà perdono.