Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/28

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vendetta dei suoi contemporanei, non così l’erudizione, cavillosa e fredda notomizzatrice di frasi. L’orgoglio nazionale e il puntiglio di scoprir cose da altri non avvisate (e in ciò gli eruditi spesso sono più inventivi de’ romanzieri) fecero strazio della gloria di Colombo. Ogni nazione volle avere il suo scopritore dell’America, ogni frugatore di vecchi in-foglio volle scrivere il suo capitoletto de orbe novo non novo. Apppena aveva chiusi gli occhi il grande Ammiraglio, che il fisco reale d’Aragona mosse lunga contesa a suo figlio don Diego, impugnandogli il premio della paterna scoperta. Poco dopo i Veneziani trassero fuori i Zeni; poscia i Tedeschi l’astronomo di Norimberga Martino Behaim, i Polacchi Scolny, la Danimarca i suoi vecchi corsari, che sin dal mille avevano forse toccata qualche spiaggia dell’America settentrionale; e testè anche la Francia scovò un nuovo rivale a Colombo, il dieppese Cousin. Nè meno studiosamente si assottigliò la più grave e barbata erudizione per discoprire un’America nei libri. Citano gli adoratori dei classici l’Atlantide di Platone, il continente Saturnio di Plutarco, la Meropide di Teopompo, la grand’isola occidentale che Diodoro Siculo ed il pseudo Aristotile fanno trovata dai Fenicj o dai Cartaginesi. Gli studiosi delle cronache del medio evo parlano di terre transatlantiche, che le tradizioni vagamente ricordano, e che talora veggonsi figurate sulle vecchie carte geografiche; le isole di Satanasso, di S. Brandano, delle Sette città, la Stokafixia, e perfino l’Antilia, perfino il Brasile. Né mancarono altre difficoltà nel giudicare il merito di Colombo, ostinandosi alcuni a credere che il fiorentino Americo Vespucci prima di lui toccasse la terra ferma, e però meritamente le desse il nome; altri recando la lode del primo viaggio all’ardimento de’ piloti baschi, che accompagnarono Colombo: tutti infine, quasi com-