Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/61

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orientale, e precisamente sotto l’equatore, queste singolari parole: Qui comincia l’orizzonte del Paradiso Terrestre; e S. Tommaso aveva detto che il Paradiso Terrestre «Est locus corporeus in Oriente. . . . Et est conveniens habitationi humanæ quia habet aerem temperatum et plantas semper floridas». Ora Cristoforo Colombo che andava cercando le regioni equinoziali, e credeva trovarle brulle ed arse come aveva vedute le costiere africane, incontrò invece le spiagge di Paria irrigate dall’Orenoco, rivestite da una splendida vegetazione, sorrise da un cielo temperato; e perciò credette d’aver toccata la sponda opposta di quella misteriosa regione paradisiaca che le tradizioni clericali indicavano vicina all’India.

Non cerco i motivi teologici e le autorità, che suggerirono a Colombo l’idea della prossima fine del mondo, idea che ad ogni tratto allora riproducevasi anche nelle menti volgari. Ma vorrei toccare i motivi più profondi che forse a ciò lo sedussero. Una delle grandi tentazioni di chi opera cose straordinarie è quella di credere ad una arcana predestinazione, ad un destino o amoroso o cieco ma sempre indeclinabile. I grandi uomini, avvezzi ad esercitare le menti acute sulla catena delle cause e degli effetti, inclinano per natura al fatalismo: e la storia contemporanea ce ne offre un esempio singolare. Colombo credette che in lui si fossero compiute le antiche profezie, che annunciano vicina la fine del mondo, allora appunto che in tutti i popoli sia penetrata la luce del cristianesimo. Egli proclamò finita l’opera che appena era principiata e credendosi giunto in un paese miracoloso presso l’albero della scienza del bene e del male in mezzo a tante cose nuove, straordinarie, imprevedute; sentì che era imminente una profonda mutazione nelle idee e nei fatti; sentì che incominciava