Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/70

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50 cristoforo

Ma il dramma non è ancora finito; l’uomo prodigiosamente operoso può due volte tentare la vita. Uno sguardo, una lacrima pietosa della regina gli hanno fatto rinascer in cuore la gioventù. Egli parte una volta ancora per solcare mari ignoti: escluso da S. Domingo, dalla sua colonia primogenita, egli guarda più in là, immagina un altro campo di gloria, e si avventura a cercare uno stretto per cui gli sia concesso infine d’afferrare quest’India, che sembra sfuggirgli dinanzi. Ma nella sua quarta spedizione non sono gli uomini soltanto, che gli si attraversano: ma sì un ostacolo più grande, più fortunato, più impreveduto, l’America davvero, il vasto continente d’America colle sue rive scogliose, co’ suoi uragani equinoziali, colle sue innumere tribù campeggianti in mezzo a selve sconfinate. Egli tenta fondare sul lido di Veragua un’altra colonia; ma un popolo invincibile e sprezzatore della morte lo ricaccia al mare. Naufrago per un anno alla Giammaica, egli dispera di sè e dell’anima sua: e ormai a niun’altra cosa più aspira — se gli sia dato di rivedere i lidi di Europa — che di poter andarsene pellegrino a Roma e ad altri santuarii.

E tornò — e trovò morta la regina Isabella — vigile e inesorabile re Ferdinando — e languì oscuro fino alla morte, riclamando indarno gli onori pattuiti, deplorando le agonizzanti colonie, e imparando, che neppur i fortissimi fanno violenza alla fortissima delle cose — al tempo.

Questa tempra d’uomo sì intera e sì elastica; questa vita fortunosa, che in quattordici anni ricomincia due volte con sì vaste speranze, e finisce nobilmente e fortemente ad onta di sì amari disinganni; questa volontà incrollabile che si esalta fino a credersi magica e predestinata; non vi ricordano, o signori, un altr’uomo, un’altra fortuna, un’altra volontà? Anzi