Pagina:Lettere autografe Colombo.djvu/82

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grandezza e della vita in un angusto campo, sforziamoci d’ingrandire l’anima nostra. Ci hanno detto: la terra è finita qui, tra il circolo storico di Vico, tra il circolo economico di Malthus, tra il circolo filosofico di Hume: il cristianesimo è imprigionato dentro questi tre dilemmi pagani, non procedete oltre. Ma l’età nostra, come l’età di Colombo è turbata da presentimenti e da desiderii che sono indizio e stimolo delle nascenti forze: anche i nostri cuori, come il cuore di Colombo, ripetono: la Provvidenza non può aver lasciato tanto spazio vuoto e deserto, tanti tempi senza consolazione e senza luce; e forse anche a noi come ai nocchieri del XV secolo sta innanzi un nuovo mondo; forse ci assediano d’ogni parte le facili verità, mentre noi ci lasciamo sviare da più lontane e più sterili promesse. Chi sa quante volte noi pure girammo disattentamente gli occhi sul vero che da gran tempo ci aspetta! Chi sa quante volte ci lasciammo cader di mente come inutile ingombro un’idea, che, fecondata dall’attenzione, poteva recarci inestimabili beneficii! Gran parte di genio è l’attenzione; e l’uomo che non vede se non quello che fu educato a vedere, se non quelle che le abitudini, il linguaggio, le tradizioni sociali gli ripetono e gli presentano d’ogni parte, non darà un passo mai verso l’avvenire. Più volte prima di Colombo l’Oceano avea tradito il suo segreto: a’ tempi di Cesare Augusto, a’ tempi del Barbarossa, a’ tempi di Sigismondo imperatore la tempesta aveva gettato sui lidi europei le fragili navicelle dei selvaggi. Poteva dunque varcarsi l’Atlantico; poteva rifarsi ad arte la via che le procelle avevano insegnato. Ma niuno vi pensò: e il mondo, rivelato già quasi dal caso, aspettò d’essere di nuovo scoperto dalla forza riflessiva e dalla pertinace volontà.