Pagina:Letturecommediagelli.djvu/55

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ogni passione, e senza sospetto o timore alcuno di morte, insieme con quelle divine sustanze, e con quei bene aventurati spiriti, che vivono felice e beatamente la vita loro. Scrissero Stazio e Valerio Flacco, ancora eglino similmente poeti eroici, l’uno l’odio e la discordia de’ due fratelli Tebani, e la magnanimità d’Achille (onde disse al nostro Poeta, quando fu trovato da lui nel Purgatorio, per darsegli a conoscere:

Cantai di Tebe, e poi del grand’Achille),

e l’altro i pericoli della navicazione degli Argonauti. E Dante scrive la guerra e il combattimento, che fa lo appetito nostro sensitivo con il ragionevole; il valore e la grandezza del nostro arbitrio libero; e i pericoli che si truovano nel mare, tempestoso e agitato continovamente da la fortuna e dai i varii e diversi venti, di questo mondo. Scrisse Ovidio le trasformazioni di molti e molti uomini, chi in arbori, chi in sassi, chi in fiere e chi in altre diverse cose. E Dante ci dimostra, non solamente come noi ci tramutiamo, mediante i vizii, in sterpi e in serpenti bruttissimi (la qual cosa descrive egli con tant’arte e tanto leggiadramente, che egli ebbe ardire il dire:

Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
Che se l’uno1 in serpente, e l’altra2 in fonte
Converse3 poetando, io non lo invidio)

ma il modo come noi possiamo ancora poi trasformarci, mediante il lume della fede e il valor dell’altre due virtù teologiche, in spiriti beati, e si può dire in Numi e Dei celesti. Cosa non forse mai più scritta da filosofo alcuno, per sapiente che egli sia stato, non che da un poeta. Per il che prese egli ardire di dire, quando ei cominciò a mostrare il modo di salire al cielo:

L’acqua ch’io prendo giammai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nove4Muse mi dimostran l’Orse.
  1. Cr. quello
  2. Cr. quella
  3. Cr. converte
  4. Cr. nuove.