Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/11

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epistola

Che poco il biasmo e men la lode apprezzo.
130Buon nocchiero non è chi vinto il primo
Con agevole prua furor di flutti,
Su la piana si addorme onda fallace;
Ma chi ’l vigil tendendo occhio all’estremo
Lembo dell’orizzonte, e tutto inteso
135A sfuggir sirti, a domar nembi e mostri,
Verso un lido lontan naviga, e canta.
Uom che vinto da lode o da paura
Non reca a fin la ben librata, impresa.
Simile è a pellegrin, che altero mova
140Al sidereo dell’Etna ampio cratere,
E, i primi gioghi superati a pena,
Pavido a’ reboanti echi si arresta;
O più simile a tal, che di merlata
Ròcca, asil di leggende auree e di gufi,
145Deliberando la rovina estrema,
Con cor superbo e con gagliarda destra
Pria di cuneo l’offende e di martello,
Poi, mutando consiglio, o pago, o stanco,
Volge al crollar de’ primi sassi il tergo.
150Ond’io, poi ch’ebbi del discreto ingegno
Contro all’arca di Pier vòlta la punta,
E nova al cor dai trionfati errori
E dall’acre pensier lena mi venne,
Del rovinato altar fatto gradino,
155Con Lucifero insorgo, e le serrate
Falangi de’ miei carmi al cielo avvento.
Ben tu con dolce ammonimento scrivi:
“ De’ primi canti tuoi sublime è l’ira:
L’orrenda idra flagelli, a cui son covo
160Del Vatican l’aule dorate, e quinci
Sibila all’aere e le nostr’alme infesta;
Ma che demone avverso or ti travolge
Dal lodato concetto, e contro Dio,



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