Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/131

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canto settimo

    Ma nel cor non tremò, non trasse il brando
A far più salda la ragion dei forti,
La gloríosa itala donna. Assisa
Su la sponda regal d’Arno, secura
450Nella fortezza sua, le genti e l’opre
E la fugace ora propizia e il fato
Sagacemente interroga; compone
Le impronte ire dei figli; obliga al giogo
Del suo voler le avverse anime; affrena
455L’empia licenza popolar; flagella
L’ambigua turba, che nel dubbio annida,
Spregia il pazzo garrir dei suoi tribuni,
E, men d’acciar che di giustizia armata,
460Sul petto al vil Giudeo pianta il suo trono.
    Dentro la cerchia delle mura antiche
Non si contenne il valor Franco: al grido
Del vandalico orgoglio i minacciati
Campi invase terribile, nè volle
465Misurar l’armi ed aspettar la sorte.
Aquila, che dal curvo etere mira
Disertar su la fosca alpe i suoi nidi,
Gli accorti agguati e le fulminee canne
Del cacciator non sa; piomba dall’alto
470Con orribile strido, e pugna, e muore.
    — Dove corri, o fatale aquila, al lampo
Dell’orgoglioso tricolor vessillo
Lucifero gridò; figli dell’armi,
Dove correte voi? Grido di oppressi
475Non vi chiamò, non amor patrio accese
Tanto vampo di guerra: incoronata
Di gloria, delle genti arbitra regna
La patria vostra, e sol co’l nome impera.
Chi snudò prima il brando? Il fier consiglio
480Da che labbro partì? Chi le secure
Aure turbò di tanta pace, e immerse



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