Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/138

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lucifero

115Finchè una spada è in pugno, un grido in gola,
E guarda una pupilla, e un’alma è desta,
Finchè un palpito al cor, finchè una sola
Stilla di sangue ed un respir ne resta,
Vil, chi deporre il brando ai prodi indíce,
120Traditor chi il suade, empio chi il dice! —

    Così fremeano i generosi. Orrendo
Nella vittoria sua Teuta procede,
E i vinti eroi, che maledían morendo,
Strazia co’l ferro, e calpesta co’l piede.
125Piega intanto il vessil franco, e tremendo
Piega, e fiammeggia, e n’ha stupor chi il vede;
Maestoso avvolgendosi declina,
Qual cometa che volga alla marina.

    Al doloroso, inusitato aspetto
130Urlano i vinti; e chi leva le braccia,
Chi rompe il brando, e dal ferito petto
Strappa le bende, e fra’ morti si caccia;
Chi tra gli estinti, su’ gomiti eretto,
Solleva in disdegnoso atto la faccia;
135Chi schernisce il suo duce, e con amara
Voce gli grida: A morir, vile, impara!

    Mandò allor la francese aquila un grido
Alto così che ne rimbomba il cielo;
L’ale staccò dallo stendardo infido,
140Le scosse all’aria, e ne fe’ agli occhi un velo.
L’udì il Borusso, e il tríonfato lido
Guardò geloso, e sentì al petto un gelo;
Dall’ardua rupe, ove fremendo stassi,
Lucifero discende, e volge i passi

    145Pensieroso colà, dove l’irata
Aquila artigliatrice il vol protende;



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