Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/14

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epistola

Una viva e canora eco ti venne.
200O ammirabili prove! Alla tua bionda
Testa appena ridean sedici aprili,
E degno eri di lui, che il passo infermo
Pei sacri di Feronia orti movea,
Mentre ed essa la musa un giovenile
205Spirto di carmi gl’infondea nel petto.
Or ei vive immortal, divo parente
Di solenni armonie, nè val che il dardo
Dell’arguto giudicio a lui saetti
Con boria saccentuzza il secol folle.
210Verde così, men disputato alloro
A te Italia consenta; a noi, che in petto
Sentiam le fiamme del natio vulcano,
Ed in esili membra una ribelle
Virtù che contro al ciel, contro a noi stessi
215Per gran sete del ver sempre ne caccia,
A noi, che pace non sappiam, ferrati
Giorni il caso apparecchi e ingloriose
Pugne l’età. Velar dovrei di oblique
Frasi e di occhiuti accorgimenti i vivi
220Che mi sgorgan dal cor liberi sensi?
Mentire agli altri e a me l’anima schietta?
Tal sia di lor, cui mira unica e vanto
È l’aver la fortuna ognor seconda,
Schermidori da trivio, a cui visiera
225È la pietà, spada l’astuzia e usbergo;
Non di me, che tal sozza arte dispregio,
E tal son qual mi mostro: a’ sensi il detto,
L’opra al pensier, l’alma alla fronte uguale.
Troppo, il credi, gl’imbelli èfebi udîro
230Pe’ frequenti ginnasj alte parole
Di mentite virtù. Tal, che il plebeo
Sarcasmo dardeggiò contro gli altari,
Poi tra cherci strisciò servo e mezzano;



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