Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/170

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lucifero

Del superbo condoro; o che ti piaccia
325Spazíar le insegnate acque, o fra l’ombre
Di vergini foreste errar su’l dorso
Del corrente giaguaro, il cui ruggito
Quando sorge o tramonta il Sol saluta;
Grande ognor, se dal doppio istmo le schive
330Genti nei socíali ordini aduni;
Grande, se per deserti orridi il grido
Al perpetuo ulular mesci dei venti,
O più t’aggrada perigliarti al balzo
Di sonanti cascate, e dar concento
335Di selvagge parole ai boschi e al cielo.
Tu nei golfi insueti il pino ibero
Primamente accoglievi, e le ritrose
Stirpi, di vesti e d’ogni culto ignude,
Con lungo studio riducevi al rito
340De’ giapetici imperi. Onde fu visto
Spezzar lo strale e abbandonar le selve
Il fierissimo Pampa; e giù dai monti
Dell’indomo Uraguai scender l’imberbe
Nomade che il color d’ambra ha nel volto;
345E, al corpulento Patagòn confuso,
Dal profondo Orenòco erger l’ignude
Membra pasciute di schifose argille
Lo stupido Ottomàco, e sentir l’uopo,
Tua mercè sola, del civil convegno.
Ma dalle sanguinose orgie, che in nome
D’un mansueto Dio, per le tradite
Reggie e pe’lidi scellerati sparse
Ebbro d’oro e di fede il vincitore,
Fremebonda aborristi, e di perenne
Marchio segnando le cervici infami,
Educasti gli oppressi a un’alta impresa.
Te di Boston il saggio e te l’eroe
Di Virginia comprese; a te le braccia



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