Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/183

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canto decimo

Quanto più può su’ nereggianti sassi
Fermo, senza respir tiensi; l’avvezza
160Destra, che regge la pieghevol canna,
Serra validamente, e vista appena
Pullular l’onda e tendersi la lenza,
Fuor, con subita stratta, all’aere avverso
Trae, guizzante nell’amo, argenteo il pesce;
165Così tutt’occhi e senza voce o moto
L’astuto eroe la belva ispida aspetta,
Che con feroce voluttade allungasi
Su l’erboso sentier, vibra l’accorto
Sguardo, e sbuffa così che par che rida.
170Ma quand’ei stanco d’aspettar l’assalto
Tentò celere un passo, e scagliar finse
L’elevato macigno, urlò, ritrassesi,
Il corpo agglomerò, sul ventre osceno
Strisciò a ritroso il mostro irto, e qual dardo
175Si vibrò. Mugolare odi all’intorno
La valle ampia e tremare arbori e rupi,
Non però il core dell’eroe: di tutto
Polso ei sostien l’alto macigno; al bieco
Assalitor l’oppone, e contro il petto
180Gliel dà così che lo travolge. A terra
Piomba la belva, e non sì tosto il suolo
Sfiora co ’l dorso, che di pria più fiera
Salta, e si avventa a più mortale assalto.
Sangue ha negli occhi, e sanguinosa bava
185Vomita e sbuffa, e rugghia, e d’ogni verso
Pazzamente si vibra, e senza posa
L’eroe tempesta, e gitta all’aria i morsi.
Scaglia alfin questi il sasso, e tanta è l’ira
Smisurata del cor, che giù d’un crollo
190Rovina anch’ei su la percossa belva.
Or funesta è la lotta: in un sol groppo,
Corpo a corpo avvinghiati e braccia e branche,



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