Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/187

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canto decimo

Oh che giorni d’ebbrezza! —
                               Ella a quei detti
Pensosa e scura divenía.
                               — Ricordi,
Ei riprendea con sospirosa voce,
300Oh! ricordi quei dì? Facil conquista
Mi parve il ciel, poi che t’amai. Mi svelsi
Crudelmente da te; deserta e chiusa
Nei díafani sonni ti lasciai,
Ma un trono eressi all’amor tuo, che in petto
305Portar vogl’io fin che no ’l ponga in cielo! —
Ella piangea. Qual trepida fiammella,
Che s’assottigli all’apparir del giorno,
A poco a poco si facea più bianca
La pietosa fanciulla, e a poco a poco
310Il mite aspetto e i rosei pepli e gli atti
Trasfigurando, un’orrida assumea
Mostruosa sembianza: ispide e tetre
Di sozza barba ambe le gote; attorti
Di tizzi ardenti e di serpenti i crini,
315E fra’ serpenti, in mezzo al fronte, un torvo
Occhio senza palpèbre immoto e tutto
Fiammeggiante d’intorno. A questa guisa
Sorgea dal suol nera, diritta, immensa,
E un gemer lungo al sorger suo risuona
320E scricchiar d’ossa e maledir. Non ode
L’irto fantasma, e ognor sorge e si spande,
E l’aria ingombra e il cielo ultimo attinge.
Tocca il cielo co ’l capo, e con la negra
Pelosa man, che vasta apresi, afferra
325L’etereo sole, e lo palleggia. Un denso
Nembo di notte si rovescia allora
Sopra la terra derelitta; ingordi
Mille sepolcri si spalancan; passa
Sibilando la Morte; e un fiero echeggia



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