Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/211

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canto undecimo

Giù alfin la benda obbrobríosa e nera,
Cui di pudor mal diede pregio e nome
L’astuta crudeltà del sesso ostile.
340Nostra è l’età, nostra la terra, è nostro
L’avvenire dei fati! Al cesto, al corso,
A la lotta alleniam le membra ignude:
Solo è libero il forte. Altra il sen porga
All’esoso lattante, e il tergo inchini
345Al feroce baston del suo tiranno:
Madre sarà di servi. A noi, del mondo
Parte migliore, opra miglior si addice:
Femmina è la virtù, femmine sono
A par de la beltà l’arti e le muse! —
350Tacque, e fêr plauso ai generosi accenti
Le anfibie dame e i cavalier. Tu solo,
Pensieroso Macrin, dal cor profondo
Un sospiro traesti, e la sparuta
Faccia e i miopi volgendo occhi, guerniti
355Di doppie lènti, a la soffitta avversa,
Il ciel fido cercasti, ove un dì speri
Mieter compenso ai maritali affanni.
Degli aurei modi del toscan sermone
Gran maestro è Macrin: spruzzato il fronte
360Delle linfe dell’Arno in San Giovanni,
Tutti ei conserva nella ferrea mente
Gl’infiniti lepori, e non soltanto
L’arguto frizzo e la condita burla,
Che scoppietta su’l labbro alla rubesta
365Ciana camaldolese e il roseo favo,
Che amor porge furtivo all’improvviso
Stornellar degli amanti; anche le viete
Venustà di Cavalca e di Guittone
Con lungo studio egli pilucca e serba.
370Tale industre formica al sole estivo,
Tratti per lungo tramite, ripone



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