Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/219

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canto undecimo

La voluttà d’una manina ignuda.
O felice costei tre volte e quattro,
Che con l’aereo balenar d’un casto
585Languidissimo sguardo, o co’l profumo
D’un sospir ventilato in su la cima
Del piumato ventaglio apresi il varco,
Non agevole invero, ai luminosi
Estri di tanto vate! Oh! lei felice
590E invidiata a buon dritto! Inutil pompa
D’ottuse forme e di bustin ricolmo
Ella, è ver, non ostenta: ignobil dote
Di vulgare beltà sien le ritonde
Polpe e l’adipe osceno, irriguo ai salsi
595Sudori, e immane, o Dio, carcer de l’alma.
Ricchezza unica a lei sia la divina
Trasparenza del corpo e i delicati
Qual fil di gelsomino arti e il languente
Collo e le braccia cascanti. Qual face
600Chiusa dentro a díafani alabastri,
L’alma in lei splende; e simile a canora
Che si pasce di brine aurea cicada,
Le vaporose fantasie deliba,
Che dal plettro gemmato ad ora ad ora
605Mollemente deriva il suo poeta,
Poeta insieme e cavalier. Sui molli
Tappeti, ai piedi della sua regina,
Spesso ei numera in pianto i suoi pietosi
Nunzj di poesia primi vagiti
610E i suoi gesti e i suoi cenni, unica scola
Ai protervi nepoti. Ella, commossa
All’ardor dei civili estri, i socchiusi
Occhi gli volge; e se ne le fraterne
Estasi le sottili in su la fronte
615Labbra gli posa, e di cinabro tinto
Cader si lascia un indelebil bacio,



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