Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/226

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lucifero

Chiede Talía, che infarcir motti e scede
Scevri di senso e di pudore ignudi.

    795Più d’una gazza razzola al tuo piede,
E manda il nome tuo da Battro a Tule,
Te proclamando di Goldon l’erede:

    Gracchiano al vento come immonde sule,
Che di grida scomposte il ciel fan sordo,
800Se han pinzo il ventre e molle il gorgozzule.

    E tu di lauri e di nastrini ingordo,
Qual verme che si pasce in suo pattume,
Tanto sei fatto omai cieco e balordo,

    Che ancor bianca la voce e il mento implume,
805Piantando il pedagogo a mezza via,
T’alzi a maestro di civil costume.

    Torna, o stolto fanciullo, al quare e al quia,
E, se granel di sale anco ti resta,
Pulisci il socco, e rendilo a Talía.

    810V’è chi avendo di liti un guazzo in testa,
E faría meglio a strombazzar pe’ trivi,
Calza il coturno, e le ribalte infesta.

    Strillan le maghe; corre il sangue a rivi;
Surgon spettri e vampiri; urlano i morti;
815Vivi i fantasmi son, fantasmi i vivi.

    Pugne, stragi, rapine, incendj, aborti,
Suon di catene, parricidj, incesti,
Orgie d’alme e di carni e fusi torti,

    I reconditi intingoli son questi,
820Per cui Melpomenèa briaca e pazza
Fa che gli spettator rimangan desti.

    O di zebre e di buoi stupida razza,
Se pur fra tante teste avvi un cervello,
Quel beccaio urlator cacciate in piazza!

    825Chè s’ei dona al suo genio altro rovello,



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