Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/255

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canto duodecimo

Qual cavallo che irrompe alla battaglia,
Corre il Pensier, che divorato il breve
Tramite della terra, al ciel si lancia.
710Annientarlo io potrei, ma me’l divieta
Un’occulta prudenza! Oh! sì ti fosse
Dato il frenarlo e ricacciarlo ai nerí
Bàratri, là dove il mio sdegno un tempo
Fitto l’avea con ferrei chiodi! Il cielo
715Non avría stella mai che fosse degna
D’incoronarti! Ma timor mi accora,
Ch’opra vana tu tenti, e dell’ardito,
Generoso tuo cor vittima resti! —
— E vittima sia pur, balzando disse
720La divina Sanese: un dì potevi
Ricondurre vincente al patrio albergo
Una mortale di Betulia; io diva
Imploro a te pari soccorso, e parto! —
— Ma egli è un vecchio barbogio, egli è un fantoccio! —
725Gridò in quel punto una stridula voce,
Bizzarramente modulando il verso.
Si conversero tutti all’empio grido
Inorriditi, e ignuda in su la soglia
Videro sghignazzar ballonzolando
730L’insanita Teresa. Era già il fiore
Del paradiso; ora stecchita e nera,
Rapata il crin, gli occhi sbarrati e pazzi,
Salti facea sugli spolpati stinchi,
Come scimmia strillando. Avvinto a un refe,
735Che a’ vizzi fianchi le facea cintura,
Giù pendevale un foglio, o fosse un brano
Del vangelo di Marco, o un’ispirata
Lettera, ch’ella avea nei suoi bei giorni
Fra l’isteriche ambasce a Dio già scritta.
740Tremâr di sdegno a tanto osceno aspetto



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