Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/271

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canto decimoterzo

Ben regnar da le intatte are potevi
395Pontefice, e lo puoi!
                          — Se crolla il trono,
Caggia anche l’ara: o tutto, o nulla!
                                       — E il dito
Di Dio non temi?
                    — Il Dio che adoro è fatto
Ad immagine mia!
                      — Ben veggio: è indarno
Ogni mio favellar. Ma se in te morto
400È il pontefice e il re, l’uomo ancor vive;
Odimi dunque, o sciagurato, e trema.
L’ara di Dio non crollerà: cadranno
Gli astri del ciel, la fede no. La terra
Stanca è d’ire e di stragi, e pace e amore
405Cerca, e l’avrà. Dio tornerà su queste
Sedi, da cui tu lo cacciasti in bando;
Tornerà Pietro a regnar l’alme: assiso
Umilemente a Cesare da lato,
Avrà di lui non men possente impero
410E più vasto d’assai. Tu muori intanto,
Implacabile vecchio; impreca, e muori
Impenitente; al tuo letto custodi
La tua memoria e la coscienza io lascio! —
    Disse, e disparve. Il bieco occhio e la voce
415Mosse il fiero morente, e una tremenda
Vista mirò. Più sol non era: accanto,
A piè del letto, al capezzal, d’intorno
Un popolo sorgea di minacciosi
Scheletri: avean nelle profonde occhiaie
420Come due fiamme che parean pupille,
E un tal verso facean con le dentate
Mascelle, che parea voce, e sogghigno.
Trema, boccheggia il vecchio irto; l’infermo
Corpo giù giù tra le diffuse coltri,



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