Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/300

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lucifero

Voce proruppe il pro’ guerrier di Dio,
Non parlar di viltà, se vuoi che amari
Non saettin dal mio labbro gli accenti.
    Vil non fui mai: fra le celesti schiere
90Trono o arcangel non è, ch’ebbe mai vanto
Di vedermi ai perigli andar men lesto
Di te, che forza del Signor ti appelli.
Ma or che giova il valor? Armi e battaglie
Chi incerto ha il fato ed ha speranze elegga:
95A noi chiaro è il destino. Ombra di Nume
S’è fatto Iddio; l’uom tutto vince. Un tempo
Aquila io fui, che per l’eteree strade
Artigliai le saette; or che ne falla
Con la fede dell’uom del ciel l’impero,
100Notturna upupa io son, cui non già il sole,
Ma il silenzio e la fredda ombra sol giova. —
— Quanto mutato sei! quanto mutati
Tutti d’intorno a me qui nel felice
Regno delle beate anime, aggiunse
105Fra disdegno e pietà l’angel superbo;
Questo è davvero il ciel? Qui regna Iddio?
Tutti d’umani scoramenti invasi
Trovo i petti immortali! Oh! non sì tosto
Io piegherò: spiri seconda o avversa
110Alla battaglia mia l’aura del fato,
Forza a forza opporrò; nè cadrò pria
Che l’avversario mio provi il mio brando! —
    Spiegò in tal dir le penne, e la fulminea
Spada traendo, alzò dell’armi il segno.
115Come, uscendo all’aperta aja dal nido,
La mal pennuta chioccia alza la voce:
Odono il noto crocidar materno
I pelati pulcini, e pipilando
Corronle intorno, e per l’accolto strame
120Con piè inesperto a razzolar si dànno;



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