Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/308

Da Wikisource.

lucifero

335O sguainar l’arrugginita spada,
Che pendeagli dal fianco, e alla difesa
Rimaner, benchè solo; o, abbandonata
La difficil custodia ad altri o al caso
Svignarsela di furto.
                         — Audace impresa,
340Dicea tra sè, nè alle mie forze uguale,
Tener fronte da solo a un tal nemico:
Certo ei val più di Malco. E poi, degg’io
Perigliarmi per tutti? Alcun non osa
Impugnar l’armi, ed io restar qui devo?
345No, no; vadasi, e tosto: al proprio scampo
Volga ognuno il pensier. Se Dio non vale
A difender sè stesso, io lo rinnego,
In fede mia, canti o non canti il gallo! —
    Così pensando, si sottrasse. Come
350Al furíar di subito uragano
Cade svelta dai cardini la porta
D’un povero abituro: urla dal fondo
La famigliuola spaventata, in quella
Che ogni serbata masserizia in giro
355Sparge, ammucchia, avviluppa il turbo avverso;
Spalancossi in tal guisa al primo tocco
Di chi porta la luce il vecchio albergo
Del paradiso, ovvio lasciando e vasto
Al guardo e al passo del ribelle il varco.
360Grande e securo e tutto lampi il volto
Su la soglia ei piantossi, e parea sole
Di cotanto splendor, che incerte faci
Ben dir potevi a petto a lui le stelle.
Siccome spada folgorante, in pugno
365Un raggio acuto gli splendea; tremenda
Arma, che squarcia il sen dell’ombre, e quanti
Ferrei fantasmi e fiere larve han vita
Con sovrana virtù spezza e dilegua.



— 304 —