Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/65

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canto terzo

Precipite, e fidata al tenue filo
Che ronzante all’immenso aere si stende
E i lidi estremi ed ogni gente unisce,
Fende il ciel, passa i campi, il mar penètra
475Qual dèmone; e non pur segni e parole,
Fidi messaggi del pensier, produce,
Ma, stupendo a veder, le desiate
Di chi lungi è da noi care sembianze
Fedelmente ritratte a noi presenta.
    480Ma a che produrre il favellar? Che detto
Sarà che il vol dell’uman genio adegue?
Dirò, com’ei con piccioletto ordigno
Le alate ore del dì segna e divide?
E l’elastica e grave aria, che preme
485Su le suddite cose, e il caldo e il gelo
Con ingegno sottil pesi e misuri?
O come, armato la pupilla inferma
Di veggenti cristalli, al ciel li appunta
Con alto ardir, gli astri gelosi esplora,
490E, penetrando un oceàn di fiamme,
Strappa ai templi del Sol gli ardui misteri?
La terra, il mar, l’aria sonante, il cielo,
Tutto ha l’orma di lui, tutto gli cede
Riverente il governo. Un sol, sol uno
495Maligno error nei regni suoi si ostina,
E quell’uno cadrà. Più forte io sento
Favellarmi l’amor; già di mortali
Forme il fantasma del cor mio si veste;
Ecco, il sento; ecco, il vedo. Oh! se a cotanto
500Volo, per tanta via, per tanti affanni
L’uomo mortal contro all’error si eresse,
Credi, non pur possibile e secura,
Ma vicina, imminente, agevol cosa
È la morte del Nume e il mio tríonfo! —
    505Disse, e giù per la china aspra e romita



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