Pagina:Lucifero (Mario Rapisardi).djvu/8

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ad andrea maffei

Or come giunsi a discacciar dal petto
25La cieca Fede, inesorabil maga
Che a noi la terra e noi toglie a noi stessi,
E con che studio ad acquistar pervenni
Quest’ardua fede del non creder nulla,
A te che al fine ingegno anima hai pari
30Prima dirò, se mai l’orecchio, esperto
Di musiche sovrane, a’ miei pedestri
Modi inchinar per breve ora non sdegni.
Alto e illustre io non vanto ordine d’avi,
Nè piovuti dal sen della fortuna
35Sovra la culla mia censi e ricchezze.
E, se togli un umìl tetto campestre,
Picciol peso alla terra, e ad esso in giro
Di contro a Mongibel due brevi aiuole,
Caro asil de’ miei sogni ed ara insieme
40Ove talor sagrifico alle muse,
Pietra non guarda il Sol ch’abbia il mio nome,
Tranne quell’una che le sante acchiude
Ossa del padre mio, padre infelice,
Che tanti da mia vita egra ed incerta
45Ebbe affanni e fatiche, e allor che gli occhi
Men sinistri a’ miei dì volgea la sorte,
Ei gli amati occhi suoi chiuse alla luce.
Trasmutabile io nacqui. E se il materno
Studio nel puerile animo il germe
50Della trepida fede e la paura
Di fantastici regni unqua m’infuse,
(Così stato non fosse!), orridi intorno
Mirai per la notturna aere vaganti
Spettri e vive ombre e mostri; ed or su su
55Dalle mute pareti alto levavansi
Illuminati dal funereo guizzo
De la pallida lampa, ora gli stinchi
Scricchiolanti menavano alla danza,



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