Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/110

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96 di Tito Lucrezio Lib. VI.

     Belve, e tante altre oprar cose ammirande
     Simili alle narrate, io brevemente
     Sporrotti, o Memmio, e senza indugio alcuno
370Creder dunque si dee, che generato
     Il fulmin sia dalle profonde e dense
     Nubi; poichè giammai dal ciel sereno
     Non piomba, o dalle nuvole men folte.
     E ben questo esser vero, aperto il mostra,
     375Che allor s’addensan d’ogn’intorno in aria
     Le nubi in guisa tal, che giureresti,
     Che tutte d’Acheronte uscite l’ombre
     Riempisser del ciel l’ampie caverne:
     Tal insorta di nembi orrida notte,
     380Ne sovrastan squarciate e minaccianti
     Gole d’atro terrore, allor che prende
     Fulmini a macchinar l’aspra tempesta.
In oltre assai sovente un nembo scuro,
     Quasi di molle pece un nero fiume,
     385Tal dal cielo entro al mar cade nell’onde,
     E lungi scorre, e di profonda, e densa
     Notte caliginosa intorno ingombra
     L’aria, e trae seco a terra atra tempesta,
     Gravida di saette, e di procelle,
     390E tal principalmente ei stesso è pieno
     E di fiamme, e di turbini, e di venti,
     Che in terra ancor d’alta paura oppressa
     Trema, e fugge la gente, e si nasconde.