Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/64

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50 di Tito Lucrezio Lib. V.

     Spunta la vaga giovainetta, e veste
     Di lanugine molle ambe le guance;
     A ciò tu forse non ti creda, o Memmio,
     Che nascer d’animai tanto diversi
     1315Debbian centauri, o scille, o somiglianti
     Mostri, de’ quai le membra esser veggiamo
     Fra lor tanto discordi, e che degli anni
     Giunger con egual passo al fin bramato
     Non posson, nè di corpi esser robusti,
     1320Nè toccar dell’età l’ultima meta,
     Nè di venereo ardor, nè di costumi
     Insieme convenir, nè degli stessi
     Cibi nutrirsi. Le barbute greggi
     S’ingrassan di cicuta, ove all’incontro
     1325La cicuta è per l’uomo aspro veleno.
     Chè se il foco, e la fiamma incenerisce
     De’ leoni egualmente i fulvi corpi,
     E d’ogni altro animal, che in terra alberghi;
     E com’esser può mai, che una chimera
     1330Leon pria, quindi capra, al fin serpente
     Dal tergemino corpo unqua spirasse
     Foco, e fiamma per bocca? Onde chi finge,
     Che nel primo natal del mondo infante,
     Quando nova pur anco era la terra,
     1335Novo il mar, nova l’aria, e novo il cielo,
     Così fatti animai nascer potessero;
     Chi ciò, dico, appoggiato a questo solo