Pagina:Lucrezio e Fedro.djvu/72

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58 Di Tito Lucrezio Lib. V.

     Diede i nome alle cose; in quella stessa
     1530Guisa, che par, che la medesma infanzia
     I teneri fanciulli induca al gesto,
     Mentre fa, che da lor sia mostro a dito
     Quel, che han presente all’occhio. Ogni animale
     Sente il proprio vigore, onde abusarlo
     1535Possa. Pria ch’al vitel nascano in testa
     Le corna, egli con esse irato affronta,
     E il nemico rival preme ed incalza.
     Ma de’ fieri leoni i pargoletti
     Figli, e delle pantere, allor che appena
     1540Nelle branche hanno l’ugna, e i denti ’n bocca,
     Già co’ piedi, e co’ morsi altrui fan guerra.
     Senzachè confidar tutti gli augelli
     Veggiam nell’ale, e dalle proprie penne
     Chieder tremolo ajuto. Il creder dunque,
     1545Che alcuno allor distribuisce i nomi
     Alle cose, e che quindi ogni uom potesse
     Apparare i vocaboli primieri,
     È solenne pazzia. Poichè in qual modo,
     E perchè chiamar questi ad una ad una
     1550Potè le cose a nome, e i varj accenti
     Esprimer della lingua, e nello stesso
     Tempo a far il medesimo bastante
     Alcun altro non fu? Ma se le voci
     Non per anco appo gli altri erano in uso,
     1555Onde fu del lor utile a costui