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mia istitutrice, se riuscissi a farle un viso butterato come aveva lei. Mi piglio poi dei divertimenti extra. Per esempio, una sera o l’altra voglio andar io al rendez-vous notturno che il vecchio medico ridicolo del paese cerca ottenere da Fanny. Mi affretto di dirti che aspetto la luna.

«Oh, e la corrispondenza amorosa? Troncata, mia cara, troncata netta dall’ultima lettera di Lorenzo che mi hai spedita. Così non avrai più scrupoli, non farai più ritirar lettere ferme in posta, almeno per conto mio. Egli voleva una passione azzurra, un legame filosofico sentimentale alla tedesca, figurati! e si è offeso del mio tono leggero, mi ha scritto, per rompere, una tirata piena di fuoco e d’orgoglio con certe sciabolate che vi gettano un ghiaccio nel sangue. Mi fa l’onore di attribuirmi qualche spirito; e poi, giù una sciabolata; cos’è lo spirito? Un vano e freddo luccicare di acque percosse dalla luna. Io domando: se le acque che luccicano sono lo spirito, cos’è la luna? Anch’essa è fredda, ma non è vana, è reale e solida. Che il luccicare dello spirito non venga da qualche freddo lume di verità, da qualche alta e desolata negazione! Allora lo detesto anch’io come questo pedante di Lorenzo, perchè credo, non però come quando ci trovavamo all’ultima messa di S. Giovanni alle Case Rotte; molto diversamente. Non c’è più nessuno che mi possa dire: Mademoiselle! Ah se tu sapessi, Giulia, cosa vi è nel mio cuore e quale tormento sono le insonnie per me! Ma nè tu nè altri mai lo saprà.

«Perdonami, ti bacio un momento e vado alla finestra a sentir discorrere le onde.

«Ritorno a te. — Fortunatamente le onde hanno una voce monotona, sono poverissime d’idee e si ripetono a sazietà; pare che recitino il rosario. E il sonno viene, viene con le ombre leggere della contessa Fosca, del conte Nepo e dei loro bauli. Addio, myosotis.

«Marina».