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nel cielo uno slancio superbo con tutti i simboli della sua divinità, pareva, rispetto a Marina, una guattera glorificata.

Nella stanza vicina, che aveva ispirato tanto orrore a Fanny, Marina fece collocare il suo Erard, ricordo del soggiorno di Parigi, e i suoi libri, un fascio di ogni erba, molto più di velenose che di salubri. D’inglese non aveva che Byron e Shakespeare in magnifiche edizioni illustrate, regali di suo padre, Poe e tutti i romanzi di Disraeli, suo autore favorito. Di tedeschi non ne aveva alcuno. Il solo libro italiano era una Monografia storica della famiglia Crusnelli pubblicata in Milano per le nozze del marchese Filippo, nella quale si facean risalire le origini della famiglia a un signore Kerosnel venuto in Italia al seguito della prima moglie di Giovan Galeazzo Visconti, Isabella di Francia contessa di Vertu. C’era pure un Dante, ma nella tonaca francese dell’abate di Lamennais, che lo rendeva molto più simpatico a Marina, diceva lei. Non le mancava un solo romanzo della Sand; ne aveva parecchi di Balzac; aveva tutto Musset, tutto Stendhal, le Fleurs du mal di Baudelaire, Renè di Chateaubriand, Chamfort, parecchi volumi dei Chefs d’oeuvre des littératures étrangéres o dei Chefs d’oeuvre des littératures anciennes pubblicati dall’Hachette, scelti da lei con uno spirito curioso e poco curante di certi pericoli; parecchi fascicoli della Revue des deux Mondes.

La grossa barca di casa dovette stringersi alla parete per far largo a Saetta, lancia elegante venuta dal lago di Como, che ci aveva l’aria di un’allieva della scuola di ballo accompagnata dalla mamma. Il signor Enrico, detto Rico, figlio del giardiniere, diventò ammiraglio della squadra. Sperò, sulle prime, in una divisa degna di Saetta, sollecitata da Marina; ma su questo punto il conte, un aristocratico pieno di generose contraddizioni, fu irremovibile; dichiarò che per l’onore della dignità umana