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MEDEA. 201
E ’l mar gravato l’onde
Innalzò insino a le lucenti stelle,
E sparsero di lor le folte nubi.
Alhor s’impallidio
Tisi, e lasciò tutte le briglie al legno.
Si tacque Orfeo, e riposò la lira.
E l’istess’Argo ancor perdeo la voce.
E alhor, che la donzella
Del sicilian Peloro,
Che ’l ventre ha cinto di rabbiosi cani,
Aprio tutte le bocche,
Chi non tremò tutto dal capo al piedi?
Chi similmente alhora,
Che le Sirene fiere
Con piacevole canto
Acchetavano il mare?
Alhor, che ’l Thracio Orfeo
Avezzo a ritener con la sua cerva
Le navi, quasi astretto
Fu a seguir le Sirene?
E qual fu ’l premio al fine
Del periglioso corso
L’aurata pelle, e seco
Un maggior mal, Medea,
Degna nel vero merce
De la primiera nave.
Hor già ci cede il mare,
E patisce ogni legge.
Nè Argo solamente
Fabricata da Pallade, laquale
Condusse i sacri Heroi,
Il mar preme, ma ancora
Ogni picciola barca.
Ogni termine è smosso;