Pagina:Medea.djvu/43

Da Wikisource.

MEDEA. 209
Testa gettata fu dentro ne l’Hebro,
E andò ne la palude
Stige da lui veduta un’altra volta,
E nel Tartaro cieco
Senza più ritornar ne l’aria chiara.
Stese il feroce Alcide
I figliuoli di Borea, e occise ancora
Il figlio di Nettuno,
Ilqual prender soleva
Innumerabil forme.
Et esso poi c’hebbe placato il mondo,
E dopo haver aperto
Il Regno de l’Inferno,
Vivo giacendo ne l’ardente Eta,
Porse le proprie membra
Consumato et afflitto
Dal don di doppio sangue
Fatto da la consorte.
Meleagro di vita
Empio tolse i fratelli de la madre;
Et ei morì nel consumar d’un tizzo:
E tutti meritarono la morte.
Qual peccato commise
O purgò quel fanciullo,
Che tenero fu ucciso
Dal grande Hercole ivitto.
Andate adunque, andate
Per il fallace mare
Con franco animo audace.
Benché Idmon conoscesse
Quel, che apportava il fato,
Fu sepolto da un serpe
Ne l’Africane arene,
Verace a tutti, et a se stesso falso